Domenica 25 marzo è giornata FAI, musei aperti e volontari a far da guida. C’è qualcuno, però, che non lo fa per passione o per libera scelta, e siamo noi, studenti e studentesse dell’#alternanzascuolalavoro.
Noi della VB del Vittorio Emanuele II sabato, tornati dal viaggio d’istruzione, abbiamo comunicato che quasi nessuno il giorno dopo sarebbe andato all’alternanza, per la stanchezza, perché abitiamo lontano dal centro, per studiare, per pranzare in famiglia. Il problema della coincidenza con il ritorno dal viaggio lo avevamo già fatto notare un mese prima, ma il giorno non era stato cambiato. Subito sono arrivate, tramite i professori, minacce di seri provvedimenti disciplinari da parte della dirigenza, così abbiamo deciso di andare, ma portando con noi un simbolo di protesta. Mentre svolgevamo il nostro lavoro di guide, al posto del cartellino FAI con su scritto che siamo degli studenti volontari, ne abbiamo messi alcuni fatti da noi per denunciare il fatto che fossimo non volontari ma obbligati per l’alternanza scuola-lavoro.
Abbiamo scoperto che è un metodo di protesta eccezionale e molto comunicativo: le persone, interessate, chiedevano ulteriori spiegazioni e quasi sempre si complimentavano. La delegata del FAI invece non la pensava allo stesso modo: ha provato a strappare il cartellino ad una ragazza, ci ha minacciati addirittura di non ammissione all’esame, dicendo che stavamo infangando le giornate FAI, che sarebbe stato meglio se ce ne fossimo andati, che quello non era sfruttamento. Ha chiamato la preside e i nostri professori, che si sono precipitati al museo e così le discussioni sono diventate sempre più accese. Intanto i visitatori ci davano ragione e hanno anche lasciato commenti positivi sui registri.
Mentre domenica la cosa è finita con un paio di minacce, oggi lunedì la stessa delegata FAI è venuta a scuola a raccontare l’accaduto e a pretendere provvedimenti disciplinari. Alla docente tutor è stato detto di essere un’incapace e di non aver saputo gestire la situazione, e che i cartellini avrebbe dovuto farceli togliere subito. I nostri professori sono stati chiamati dalla preside e ci è stato comunicato che tutta la classe avrà una nota disciplinare e il 7 in condotta a fine anno.
Oltre al danno, insomma, anche la beffa: costretti la domenica in un museo e pure sanzionati per aver espresso dissenso. Ci sentiamo di fronte ad una gravissima negazione della libertà di espressione e soprattutto abbiamo finalmente constatato sulla nostra pelle cosa voglia dire che gli enti privati entrino nella scuola pubblica. Adesso gli enti con cui facciamo alternanza hanno diritto di pretesa sulle sanzioni disciplinari, di parola su un percorso formativo di cinque anni. Al liceo classico insegnano a pensare, si dice, ma ora penalizzeranno una classe intera che con il pensiero critico si è opposta al lavoro non riconosciuto e non retribuito.
Adesso ci puniscono e vogliono farci pentire della nostra azione. Noi invece siamo consapevoli che in quel museo non solo abbiamo portato a termine il nostro lavoro ma abbiamo anche sensibilizzato le persone riguardo un problema che vivono tutti gli studenti e le studentesse, quindi non possiamo che esserne fieri.
L’alternanza non ci piace, non ci è mai piaciuta e dopo tre anni di esperienza ne siamo solo più convinti. Sanzioni e minacce non ci fermeranno dal gridarlo sempre più forte.
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